L’inquietudine tedesca

Vi siete mai chiesti l’euro a chi giova? Non certo alla Germania. Già pochi anni prima che il partito dell’Afd, l’Alternativa per la Germania, l’attuale destra tedesca in ascesa, venisse fondato nel 2013, l’economista svizzero Thomas Straubhaar, docente di relazioni economiche internazionali all’università di Amburgo, spiegava come dal punto di vista politico la moneta unica europea fosse stata soprattutto la contropartita per l’assenso francese alla riunificazione tedesca. I critici dell’euro in quella che è da sempre la maggiore potenza economica dell’Europa continentale non sono mai mancati. Oggi Alice Weidel, la leader dell’Afd, forte del recente successo elettorale in Turingia e in Sassonia, può tirare le somme ipotizzando tra le varie opzioni che sono di fronte al suo partito la Dexit, di fatto una Germania che in termini economici e politici abbandona l’Europa, consapevole di poterne fare del tutto a meno. Il dilemma storico tedesco si perpetua.

Per la sua posizione geografica, la Germania si è sempre sentita accerchiata e tra i suoi confini tendono ad avere scarsissima fortuna le scelte politiche che i tedeschi vedono di fatto arrivare dall’esterno, non importa se in modo pacifico, come l’euro, o in modo traumatico, come la Repubblica di Weimar, la prima democrazia sul suolo tedesco, portata non a caso da una sconfitta bellica. Anche la Repubblica Federale Tedesca è nata da una sconfitta ancora più immane della precedente, ma proprio per questo ha sviluppato anticorpi molto efficaci contro qualsiasi rinascita neonazista. Sarebbe pertanto un errore grossolano confondere l’Afd con i nostalgici di un passato tragico con cui la Germania ha fatto seriamente i conti. Il vero motto del populismo di destra dell’Afd è “sappiamo chi siamo se sappiamo chi non siamo e contro chi siamo”, che serve a coalizzare tutti i delusi e gli esclusi dalla globalizzazione (e sono tanti, come dimostrano i risultati elettorali), ora alla ricerca di un’identità. La destra populista, non solo in Germania, realizza un’alleanza verticale e interclassista di gruppi sociali conservatori che non vengono mobilitati solo da un declino economico effettivo o temuto, ma che vedono i loro stili di vita e i loro valori emarginati dall’incremento del cosmopolitismo culturale della realtà globalizzata.

La risovranizzazione in atto attira cittadini un tempo privilegiati che, a causa della globalizzazione, si ritrovano con uno status sociale ridimensionato e aspirano a una valorizzazione delle comunità locali e nazionali, che celebra il “popolo” come rifugio ideale contro il regime individualista del mercato e la perdita di identità sociale innescata dalle esigenze di mobilità e flessibilità internazionali della forza lavoro.

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