MILANO – In una visione da un lato geopolitica, dall’altro sociale, cresce sempre di più specialmente in Europa l’inquietudine per l’esito del conflitto russo-ucraino. È la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale che il nostro continente assiste a una guerra pericolosissima ai suoi confini, accorgendosi che l’Ucraina è vicina e avanza a Kursk, portando la guerra a casa del nemico, così come la Federazione Russa non indietreggia. E l’Occidente deve fare bene i suoi calcoli prima di sparare un solo colpo su Putin. Tanto più ora che il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko esprime sempre più apertamente il suo appoggio a Putin nell’eventualità di un attacco diretto all’Occidente, le cui armi secondo Mosca sono state decisive nell’avanzata ucraina, considerata di fatto una esplicita dichiarazione di guerra a Putin finora mai arrivata. Cosa attendersi da un conflitto che si trascina da più di due anni e che non si risolverà a breve? Un dato è certo. Putin non può assolutamente permettersi una sconfitta. Nemmeno Zelensky, ma Putin ancora meno. E in ogni caso è meglio non personalizzare troppo una guerra di questa portata, che rischia di estendersi più rapidamente di quanto si immagini. Molto probabilmente ci vide giusto Graeme P. Herd, professore britannico di studi sulla sicurezza transnazionale presso il George C. Marshall European Center di Garmisch-Partenkirchen, in Germania, un istituto di ricerca bilaterale sostenuto dalla cooperazione tra il Dipartimento della Difesa statunitense e il Ministero federale della Difesa tedesco. In un volume pubblicato dall’editore Routledge un mese prima dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, e tuttora inedito in Italia, dal titolo Capire il comportamento strategico russo , l’analisi di Herd partiva dalla premessa che il regime di Putin è vulnerabile alla tranquillità: “Una politica estera costruttiva permette alla Russia una limitata rilevanza strategica e rifletterebbe il suo potere decrescente al di fuori dell’ambito militare e nucleare”. E’ questo il motivo per cui, proseguiva Herd, “un presidente post-Putin sarebbe probabilmente impegnato a concentrarsi sugli stessi obiettivi strategici”. Il sesto dei nove capitoli del saggio di Herd è ancora oggi quello fondamentale per gettare uno sguardo sul futuro del conflitto in corso. Si intitola “Il codice operativo di Putin. Deduzioni e implicazioni per la stabilità del regime”. Herd spiegava che Putin ritiene che la Russia abbia il diritto di infrangere le regole internazionali e che farlo senza essere punita sia prerogativa di una grande potenza. Putin agirebbe per dimostrare la sua capacità di escalation, ma intende quest’ultima come preventiva e finalizzata a evitare uno scontro diretto tra grandi potenze. Seguendo le regole dettate dall’Occidente, Putin sarebbe ridotto al rango di giocatore marginale e irrilevante, quindi la Federazione Russa si sta posizionando in un ordine globale emergente attraverso l’alleanza con la Cina e la cooperazione militare con il Medio Oriente e l’Africa. “E’ anche probabile che nel tempo la portata dell’escalation di Putin si incrementi al crescere della sua tolleranza per il rischio”, scriveva Herd. Putin ha infatti una mentalità tattica prima ancora che strategica e il suo decisionismo dell’ultimo minuto ne alimenta l’imprevedibilità, “che serve anche a prevenire un potenziale accerchiamento interno del presidente, rafforzando il suo potere e il suo status di fronte a subordinati formalmente fedeli”, concludeva Herd. L’assaggiatore di pietanze è sempre il principale alleato di uomini soli al comando come il leader russo.